Smart working letteralmente è un lavoro intelligente.
Ma quanto è intelligente davvero questo lavoro intelligente? Quanta fiducia, flessibilità, consolidamento riesce a creare per i contesti di lavoro o piuttosto preoccupazione, micro-management e fragilità, dei contesti e nelle relazioni?
Siamo sicuri che non si stia facendo altro che accrescere un tele-lavoro forzato?
Chi è in difficoltà?
Chi gestisce gruppi di lavoro è in difficoltà, se non interi contesti lavorativi. Talvolta mancano gli strumenti o le abilità; in gran parte dei casi, pur con una buona volontà e predisposizione del singolo, manca una cultura capace di accogliere e potenziare lo smart working, che lo faccia SMART davvero. Una cultura organizzativa forte e aperta vuole integrare lo smart working come mezzo per accrescere qualità ed efficienza del lavoro e come pretesto per affrontare una crisi in modo da trasformarla nell’ennesima occasione di sviluppo a favore di lavoratore e di azienda. E lo vuole fare soprattutto in un momento delicato come quello che stiamo vivendo. Lo smart working nasce con questo intento ma prevede un tessuto lavorativo pronto.
La difficoltà è di chi gestisce ma anche di chi si trova a lavorare confinato a casa.
Smart working o tele lavoro?
Al di là delle definizioni da letteratura e di ciò che sta accadendo a seguito della crisi sanitaria, e di senso, attuale, esistono differenze sostanziali tra tele-lavoro e Smart Working.
Laddove esista, il telelavoro è stato scelto per specifiche necessità dell’azienda, del lavoratore o dell’oggetto stesso del lavoro, tali da impostare un contratto che preveda la distanza.
Senza nulla togliere ad esso, bisogna riconoscere che lo Smart Working è altra cosa. Almeno potenzialmente: quando è accolto e ben definito da entrambe le parti, lo smart working consente di conservare un’area di interazione diretta da un lato e di flessibilità (autonomia) dall’altro, dando un senso al quando e al perché essere in un luogo piuttosto che in un altro (casa, ufficio, in una caffetteria o in un parco), vicini oppure a distanza. Per ciascun obiettivo e per ogni attività, si sceglie una modalità che possa tutelare efficacia e qualità delle relazioni, rispetto delle norme e visione. Il posto dove si lavora non è solo un luogo.
Tuttavia, sappiamo che la flessibilità rischia di diventare “facciamo come ci pare” da un lato o “terrore di controllo” dall’altro. Disorientamento e stanchezza sono i primi risultati evidenti. Una cultura aziendale e organizzativa aperta allo smart working deve essere una cultura forte che abbia già seminato e allenato responsabilità e autonomia o che sia disposta a farlo di nuovo, ora più che mai.
Cosa possiamo fare insieme
Responsabilità e autonomia, laddove esistono, devono potersi vedere agiti nei corridoi e nelle sale riunioni. Davanti agli schermi o alla macchinetta del caffe; a pranzo. Dentro le mail. Occorre allenarle costantemente, e, ora più che mai, rimetterle in moto. Quelle realtà che vogliano supportare questo cambiamento, così rapido e imposto dall’altro, in chi gestisce e in chi lavora, hanno chiaro che occorre rinforzarle, fare un piano di allenamento e ri- allineamento dei valori aziendali. Hanno chiaro il potenziale e insieme i rischi di non attivarsi in tal senso: non si tratta di prevedere un futuro imprevedibile, si tratta di tornare a investire più che mai sulla creatività e la forza del capitale umano. Semplice ma non sempre facile.
È lo scopo del Coaching Formativo, orientato a uno o più temi specifici. I temi centrali intorno ai quali promuovere un percorso a supporto dello SMART WORKING che garantisca responsabilità e autonomia:
– COACHING in senso stretto e creatività: lo scopo è allenare l’abilità a defiire obiettivi SMART (specifici, misurabili, realistici, rilevanti, definiti chiaramente nel tempo) e di piani d’azione monitorati ed efficienti; allenare la capacità di riconoscere potenzialità e poteri di colleghi e squadre di lavoro;
– SCRITTURA: per comunicare efficacemente, migliorare la scrittura ci consente di comprendere gli errori e consolidare punti di forza delle nostre interazioni, scritte o verbali, per arrivare al punto e snellire processi e relazioni;
– LEADERSHIP AUTENTICA: per guidare, ispirare e ottenere risultati duraturi, il primo lavoro da fare è quello su se stessi;
I destinatari sono innanzitutto quelle figure che si trovano in prima linea a scegliere e gestire. Se un percorso è svolto anche sulle squadre e sui singoli lavoratori subordinati, i risultati si amplificano. I percorsi possono essere costruiti su misura in base alle esigenze del contesto, per questo un primo confronto sull’analisi dei bisogni non sono è auspicabile ma fondamentale.
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Nel mio Diario di Viaggio trovi diversi approfondimenti sui temi sopra menzionati.
NOTA METODOLOGICA.
Il coaching formativo è una metodologia di lavoro che prevede momenti formativi in senso stretto e momenti in cui viene facilitata nel partecipante la partecipazione e il confronto, attraverso una costruzione comune di obiettivi e il riconoscimento e l’impiego di risorse personali. I partecipanti apprendono da sé, dal gruppo e raggiungono obiettivi auto-determinati, allineati con il tema scelto dal committente.