Prima di chiederti come, chiediti cosa. Ma soprattutto: perché
Perché? Perché? Fa venire in mente un bimbo che vuole sapere; oppure, l’adulto addolorato dal suo passato.
Perché è la domanda più frequente che fanno i bambini, quelli più piccoli quando cominciano a esplorare il mondo. Ho ricordi di bambina in cui inchiodavo – questa è la sensazione a ripensarci oggi – qualunque adulto avessi a giro con i miei perché insaziabili. Mi viene anche in mente lo spezzone di un episodio di una stravagante sit com americana del 2006, ma che richiama quelle degli anni 70: Lucy, la bambina protagonista della serie, fa colazione con suo padre la mattina presto, lo costringe a rispondere a tutti i suoi perché e lo manda in crisi. Guardalo, è esilarante.
Chiedersi il perché delle cose è insito nella natura umana che vuole scoprire, conoscere e camminare; è la natura dell’essere umano che si guarda intorno senza paura o nonostante i rischi. Perché è la parola del ricercatore.
Per il resto, in molti hanno smesso di chiederselo, salvo quando qualcosa è andato storto.
Cosa accade alla creatività dei bambini?
Ecco cosa accade nei primi 25 anni di vita: il processo di socializzazione nel mondo occidentale in cui viviamo restringe la naturale creatività del nostro pensiero. Piuttosto che apprendere come esprimere se stessi e i propri talenti, la cultura ci insegna come diventare homo economicus, cioè in condizione di apprendere gli strumenti per sopravvivere piuttosto che quelli per realizzarsi e mettersi al servizio del bene comune.
Come faccio?
Se è vero che il perché è il mondo dei bambini, il come è quello degli adulti di oggi. Come faccio a fare…? Non mi stupirei nel sapere che siano le parole più digitate sui motori di ricerca. In un tempo che ha perso il suo valore in termini di durata, passaggi e presenza, si corre alla ricerca della ricetta più facile e più veloce, dimenticandosi che fare una bella torta quando in fondo era di una pizza che avevamo desiderio, non è investire bene il proprio tempo. Se l’oggetto in questione non è una torta ma la propria vita, il rischio è sprecarla, tutta.
Prima dell’efficienza preoccupati della tua efficacia
Essere efficaci vuol dire fare le cose giuste. Giuste per te. Essere efficienti vuol dire fare le cose nel minor tempo possibile, impiegando meno risorse possibili: bene, se impari a fare una cosa totalmente inutile dieci volte più velocemente, non ti cambia niente. Prima di trovare il modo più conveniente di fare qualcosa occorre avere chiaro cosa fare. Ti sembra semplice? Prova. Ricorda anche che semplice non vuol dire facile.
Nella mia professione mi capita spesso di trovarmi di fronte a chi vuole sapere come fare. Me lo sono chiesta anche io tante volte. Nel chiedersi come fare c’è anche una bozza del cosa si vuole, ma il focus inizialmente è spesso sul come.
- Come faccio a stare meglio?
- Cosa vuol dire per te stare meglio?
- …
- Come faccio a far evolvere la mia azienda?
- Cosa vuol dire avere una azienda evoluta?
- …
Lavorare bene sulla definizione del cosa (dell’obiettivo), chiedersi se è davvero rilevante, se è stato definito nel tempo e se è misurabile, cambia il nostro orientamento rispetto alle risorse necessarie e alla motivazione, soprattutto: alla possibilità di non mollare quando nel percorso si incontreranno difficoltà. Perché un obiettivo sfidante è per definizione pieno di momenti difficili.
A questo punto potresti chiederti perché mai scegliere obiettivi difficili e sfidanti. Questa, apparentemente retorica, in realtà è una domanda molto importante che la maggior parte di noi si è posta almeno una volta nella vita.
Uno scopo nobile ci salva
Chiedersi perché costringe ad azioni e obiettivi dotati di senso. Chidersi perché, quando si guarda al presente e al futuro, costringe a mettersi in discussione, orienta verso uno scopo dotato di senso, uno scopo nobile per il quale occorre impegnarsi e attraverso il quale si scoprono cose che non sapevamo esistere, soprattutto di se stessi.
Nobile vuol dire per me etico, nel senso più antico del termine: cercare il proprio posto nel mondo e insieme augurare a chiunque di fare la stessa cosa; avere il coraggio di augurarsi tutto il bene.
Gli adulti si chiedono perché guardando al passato. Ciò ha un effetto completamente diverso. Chiedersi il perché delle cose del passato è utile quando si vuole riscrivere la propria storia, ristrutturare i propri ricordi, dare loro maggiore dignità. È un lavoro molto importante e delicato; spesso si fa in terapia e lo considero un lavoro straordinario.
Nel mio lavoro, orientato al presente e al futuro e alla definizione di obiettivi di realizzazione attraverso i quali sviluppare il proprio essere umani, guardare al passato recente può essere utile se ci si chiede come: come ho raggiunto quel risultato? Come non l’ho raggiunto? È un lavoro di consapevolezza sulle strategie più o meno funzionali del proprio operato.
Il perché di cui ti parlo qui è quello dell’ora e del domani. È un perché che può risultare talvolta fastidioso e difficile, è un perché talvolta scardinante e impopolare; ma è ciò che consente di cambiare il corso della propria esistenza per poter sentire che sì, è valsa la pena di averla vissuta.
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