Gi strati che ci separano dal nostro sé
Anni (e anni) fa, mentre scrivevo la mia tesi di laurea, ricordo che ogni tanto soffrivo di mal di testa e una ragazza, massaggiatrice alle prime armi, quindi a buon mercato ma molto brava, veniva ogni tanto da me per massaggiarmi i piedi – prendeva la cosa apparentemente alla lontana, proprio come la riflessione che scrivo.
Un giorno, durante il massaggio, disse che uno degli elementi per capire se un organismo umano gode di buona salute è se la sua pelle si stacca dal corpo (il concetto, mi rendo conto, fa un po’ impressione), cioè se la pelle non aderisce troppo agli organi interni. Intuitivamente questa cosa sembra avere un senso: più gli organi sono separati tra di loro e più respirano, si muovono, possono funzionare. (Ad ogni modo, se qualcuno trova un fondamento scientifico di questo meccanismo, me lo faccia avere.).
Questo ricordo, messe da parte anatomia e fisiologia, è riaffiorato alla mia mente pensando ai vari strati di pelle che ciascuno di noi, simbolicamente, indossa ogni giorno e che deve, sceglie di, indossare per far fronte alle situazioni della vita, per ricoprire dei ruoli, e via dicendo.
Quanti strati abbiamo e quanto aderiscono a noi stessi
La mia esperienza con gli adolescenti mi porta a pensare che essi, al contrario di gran parte degli adulti, hanno questa pelle più distaccata dal proprio sé e riescono con maggiore facilità a togliersela di dosso e buttarla via.*
Ah i ragazzi di oggi…, si sente dire spesso, sono tremendi!, sembra siano inaccettabili per quello che fanno, per come parlano, per come sono vestiti; le nuove generazioni non sono facilmente capite per via delle loro strambe novità. Quando eravamo giovani noi…: quante volte l’hai sentito dire?
Il conflitto tra le generazioni (noi eravamo meglio…) è sempre esistito; il mio intento qui non è dichiarare se essere d’accordo o meno con chi sostiene quella affermazione; credo piuttosto che, a prescindere da quanto sia più o meno vero, questo atteggiamento sia dettato da uno spirito di conservazione e assieme di timore del nuovo, del diverso. Ora, contrariamente a quanto si possa credere, anche i ragazzi, come gli adulti, indossano le loro maschere, maschere adatte ai tempi e alle mode. Sin dall’età infantile i bambini imparano a giocare un ruolo dettato dall’ambiente familiare e scolastico, che solo in parte rispecchia la natura del loro carattere. A volte gli adolescenti sanno essere più mascherati e rigidi di alcuni adulti, perfino.
Quindo cos’hanno i giovani da insegnare a(lla gran parte de)gli adulti?
Come dicevo, la capacità dell’adolescente di staccare questa seconda pelle (la maschera, il ruolo) da se stesso. Ecco cosa sa fare: sa fingere, ma al tempo stesso smascherarsi con la stessa rapidità e leggerezza con cui sceglie le sue maschere.
Ciò che accade è che col passare degli anni – a causa di un invecchiamento che non è fisico ma è irretimento – si corre il rischio che la pelle vada via via ispessendosi, che si apppiccichi al proprio sé fino a diventarne parte, fino a farlo diventare – il proprio sé – proprio quella pelle, quella maschera, senza possibilità di essere altro, e senza possibilità di essere buttato via o sostituito. Col passare degli anni, si perde anche la possibilità di sentire le cose a pelle se quella pelle non è più altro da sé e perde per questo sensibilità, perde le sue funzioni autonome; si perde la possibilità non solo di cambiare ma anche di tornare a essere se stessi (mi riferisco qui alla propria essenza). Ecco, in questo senso, credo che gli adolescenti funzionino meglio.
Prendi un ragazzo per strada,
uno di quelli coi capelli arruffati, o i jeans strappati, le cuffie nelle orecchie, assente, scorbutico, oppure uno assenziente, estremamente curato e alla moda: se hai la fortuna di farci due chiacchiere, se egli o ella riconosce in te una persona che ha annullato ogni tipo di giudizio e che vuole incontrarlo, butterà via la sua maschera in un attimo, e ti farà scoprire il suo mondo, che è un po’ bello e un po’ brutto, ma che ti meraviglierà per quanto sia incredibilmente vero.
*La mia riflessione è frutto della personale esperienza e assieme un invito alla riflessione e al confronto.